La dopamina è il neurotrasmettitore responsabile del piacere immediato e della ricompensa, ma regola anche i ritmi del sonno. Sembra che ne siamo diventati tutti dipendenti. Io onestamente ne bramo la capacità di farmi dormire, perché nelle notti insonni si vedono cose che sarebbe meglio liquidare come un brutto sogno. 
Nel testo si parla di coraggio per i nuovi inizi, del bisogno di coerenza con se stessi, della necessità di chiudere con le cose vecchie, tossiche, prima di intraprenderne di nuove.
2:22 di Ritmiche post punk alla Molchat Doma con i riff di synth e chitarra alla Kid Laroi. Una rassicurante e catartica nostalgia pervade il sound.


Dopamina

Il brano è fortemente influenzato dall’elettronica tedesca alla Moderat e si avvale del feat. di un talentuoso rapper umbro, Kime (aka Alessio Nulli).
Il brano racconta il sentire in una relazione di co dipendenza.
La sete, il bisogno di bere dall’anima di qualcun altro, dalle sue vene per darsi un senso.
Quelle situazioni in cui l’altro è una cura palliativa, che non fa bene.


Sete feat. Kime

Il brano si apre con una frase quantomeno bizzarra: "Le città termali e quella vaga vibe fascista."  
Ora, il fascismo non ha una vibe , ma c’era qualcosa, mentre camminavo per quella cittadina che non voglio nominare, che me lo riportava alla mente. I font delle insegne, i sigilli di ferro sui tombini, un’atmosfera ordinata, sicura, asettica , leggermente inquietante—come camminare sul dorso di un animale che è meglio non svegliare.  

In questo scenario, un dettaglio rassicurante e umano : due ragazze si tengono per mano .  
Un attimo di pace , di intimità, sotto la luce filtro seppia dei lampioni che illuminano i residui disgraziati del ventennio .  

Ero in giro per concerti, dovevo aprire per i Meganoidi , ma ci fu qualche attrito. Stravolsero la scaletta delle esibizioni, e mi ritrovai ad aspettare invano che se ne andassero dal palco —ma quando finalmente lo fecero, l'evento era già finito.  
Ne seguì una piccola discussione, che fece saltare anche il mio rapporto col booking di allora. Pazienza.  

Il brano è costruito su una base di chitarra classica essenziale , ridotta all’osso, è uno dei due brani unplugged del disco “Dopamina”  
Ad un certo punto, irrompe una seconda voce— Giacomo Di Carlo , altro cantautore umbro, amico e collega.  
È proprio lui che ci conduce al crescendo finale , dove le ombre cominciano a salire, ed il cielo è più sereno, finalmente .  

Un grazie all’artista Meri Ciuchi, per aver prestato la sua opera come copertina del brano



Le città termali feat. Giacomo Di Carlo


Li hai mai presi gli psicofarmaci?
Non è che devi essere uno scoppiato.
Puoi non riuscire a dormire, a mangiare, a gioire, a parlare con le persone, a uscire di casa e non fai del male a nessuno oltre che a te stesso.
Magari ti sei impantanato nei tuoi complessi e nei tuoi traumi, che non sono mortali ma hanno comunque fatto dei danni e, come fosse una gamba rotta, il cervello va curato, che sennò te lo ritrovi tutto storto.
Tutto storto da questo, da una parte di te che chiede cura e attenzione e no -Non basta mai quello che ti do-
Poi si intromette una voce diversa, nota, che quella di YS Lavey aka Youg Signorino aka Paolo Caputo, capostipite della trap italiana, che con uno stile personalissimo fa un brillante divagare sulla “casa di carta” che sono le sue emozioni e devi solo stare attento a non bagnare con le lacrime le pagine che scrivi per sfogarti, in attesa della prossima pasticca di Xanax.
Il brano è ritmicamente vivace, è post punk mescolato all’ elettronica, con questi pad larghi e sognanti e le chitarre in ottavi che puntellano gli ottavi.
Lo puoi ascoltare con una certa leggerezza se non adcolti le parole, magari è adatto a ballare coi propri fantasmi, indifesi dopo tanti anni, come lo sei tu di fronte ai limiti della tua mente e del tuo cuore.






Tutto Storto feat. Young Signorino

Diorama è un brano che fatica ad iniziare. È incastrato nell’indecisione, come quegli istanti prima del risveglio: un precipitare nel mondo vero da chissà dove.

Sono pochi secondi alla fine, quelli prima di svegliarsi,
ma in quei frammenti puoi ripercorrere tutta la tua vita.
Poi, inevitabilmente, devi trovare lo slancio per tirarti su.

Lo fai. A piedi scalzi, sul pavimento.
Con una ciabatta tua e una che ha usato qualcun altro, lì nella tua stanza.
Fai finta di niente.
Canticchi quel motivetto del … “Pararà Pararà.”

Ti sciacqui la faccia.
Ingoi.
Hai paura.
Il tempo, passando, si è portato via alcune cose e ne ha restituite altre, molto cambiate.
Non si tratta più di aspettare che fioriscano.
Ora si tratta di averne cura, in qualunque forma siano tornate.
Anche prendersi cura di ciò che non c’è più, se ti ricorda chi vuoi essere.

A volte ti detesto — solo perché non posso far altro che lasciarmi dare tutto da te.
Accetterai che ho i miei motivi, mi vuoi bene lo stesso.
Ciò che è assoluto fra noi si affermerà anche sulla verità del momento.

Sei un po’ meno terrorizzato?

Pararà Pararà.

No, io no.

Pararà Pararà Pararà Pararà.

_Grazie alla Fotografa Irene Strazzeri per la Copertina

Diorama






Oh, finalmente una cosa leggera.
“Colpi a Salve” è il nuovo brano di Filippo Poderini, ma non è una carezza , è con cassa dritta e percussioni IDM spezzate, imprevedibili, quasi nevrotiche. È elettronica che si divincola. Un battito emotivo da club sgangherato, dove anche i cuori ballano fuori tempo.

Si parla d’amore? Boh. Forse. Si, dai.
Sicuramente si parla di quei momenti in cui esci con una persona e fate entrambi i cattivi. Tipo quel meme:
> “You can't have this if you don't take this too.”

Vi girate attorno come satelliti emotivi, mantenendo una distanza di sicurezza perfetta. Per studiarvi.
Una coreografia, tipo National Geographic, episodio sul corteggiamento delle specie animali, ma al bar.

Ma dai, su.
Alla fine qualcosa vorrete, no?
Nel peggiore dei casi, vi state già dando moltissimo.
Nel migliore, c’è ancora tempo.
Abbiate pazienza.
Oppure ballateci sopra.


Colpi a salve

_Argilla la devi ascoltare in un posto piccolo.
Un posto chiuso, tipo l’abitacolo di un’auto ferma, quello che succede attorno non ti deve riguardare per 2 minuti e 41 secondi.
O sotto le coperte, come quando da bambi* ti facevi la capanna col piumone.
E boh, io fingevo di essere un astronauta, per dire

Già,
È una cazzo di canzone tristissima.
E non so perché.
O non voglio ammetterlo.

Quindi
non parla di niente in particolare,
eppure ti fa sentire tutto insieme.
È una doccia di immagini.
Una sequenza di memorie slegate,
ricordi a caso come biglietti lasciati in tasca.

Un collage emotivo che non sta bene incollato.
Ci sono pezzi che si strappano,
pezzi che fanno resistenza.

E mentre ascolti, succede una cosa strana:
è come dire addio—
non a qualcuno,
ma alla tua capacità di essere chi volevi.

Perché a un certo punto,
iniziamo tutti a diventare chi dobbiamo.
Non per scelta.
Ma per peso, per fame, per necessità.

E allora ecco:
Argilla non la ascolti, la attraversi.
Come attraversi te stess*.
A piedi nudi.
Senza sapere se ti farà bene.
Ma sapendo che, comunque, ti serve.



_Grazie a Maurizio Rapiti per l'immagine di copertina

Argilla

L è stata a un passo dall’ essere gettata via.
L era una svolta sulla strada che una volta raggiunta nascondeva un vicolo cieco.
L ha quella piogga di parole urlate da lontano. 
L racconta di un contesto familiare in cui non ci si trova perché non si hanno i mezzi per comprendersi reciprocamente e gli anni annegano nel rancore, a volte.
L alla fine è uno lo sfogo sotto la doccia, dove non ti sente nessuno e se qualcuno  dovesse, magari penserà che stai cantando, 
comunque in L una luce tenue in fondo c’è.

una volta parlavo con un batterista e venne fuori che swag è anche un termine per un certo andamento ritmico degli hi hat, un po’ come lo swing nel jazz, solo che invece che usare le terzine usa le quintine come riferimento.
Tutto ciò per dire che L inizia così, un basso grave e un hi hat in gruppi di 5, instabilen e denso ,
 la voce è un grido lamentoso, da lontano, annegato nei riverberi che ne legano la frammentarietà.
Si parla di trattenere il controllo;
di dire a se se stessi come ci si sente.
Urla perché c’è il rischio di non essere presi sul serio, siamo bravi ad ignorarci, a volte.
Alla fine ci si ritrova a contemplare l’orizzonte dei propri limiti,
le grida nel ritornello diventano una cantilena in cui si concede fondamentalmente, finalmente, perdono.


Limpido l’ho scritta durante una breve convivenza, in qualche modo fomentata dalla pandemia.
Eravamo io e questa persona che per la prima condividevamo uno spazio piccolo, quello di una casa, con tanto di restrizioni fuori, quindi, in soldoni, dovevamo stare insieme “per forza”.

Poi “per forza” non era, chiaro, però era comunque particolare.

Il fatto per entrambi era capire che anche se vicini, spesso nella stessa stanza, c’era bisogno di silenzio lo stesso, di spazio, che non ci si poteva comunicare sempre tutto e subito.
Penso che solo quando capiamo bene dove inizia uno e finisce l’altro, possiamo avvicinarci davvero, senza invaderci.

Anche perché a riempire il silenzio per forza si fa peggio.

Nonostante i buoni intenti, la convivenza non funzionò.
il brano invece si arricchito della voce di Maestro Pellegrini degli Zen Circus.


Limpido nasceva con una chitarra classica da un arpeggio , tutto abbastanza indie, era il 2019, sicché, le influenze di sound ancora erano quelle.
Son passati anni, sono entrate con una certa prepotenza le 808, i Reese, gli autotune, gli spazi enormi della musica urban e onestamente sono cose che adoro.
È come essere passati da guidare una Panda a Pesaro a pilotare un sottomarino a fior d’acqua di notte (magari sempre a Pesaro...)
C’è ancora una chitarra, ma l’arpeggino in iniziale sembra registrato su di un vecchio vinile, con quella vena lo-fi, e dopo la chitarra diventa quasi una frustata, sinfonica, con poche note sui medio bassi, pizzicate con forza vicinissimo al ponte.
Le voci dilatatissime rendono chiaramente il gusto di perdere il significato delle parole e fare quasi una texture, un suono, un’ evocazione più che un messaggio vero e proprio.
Maestro Pellegrini(Zen Circus), che ha prestato la sua voce per alcune parti,  l’ha definita psichedelica, per me è più liminale, dreamcore.


Limpido feat. Maestro Pellegrini

Less is better è ormai quasi un meme; qui si chiede una sola parola, invece che un’intero discorso.
Su Limpido (uscita da poco con il feat di Maestro Pellegrini degli Zen Circus) si chiedeva il silenzio, quindi, se non altro c’è un’evoluzione, un’altra prospettiva.

La parola in quesrtione qual’è?
Non te la dico perché sarebbe comunque quella sbagliata.

Ti tornano i mente i flash di una polaroid, un hangover al parco dopo una serata, I cani.

Scusa. Ciao. Addio. Già. Grazie. 

Tu quale parola vorresti che fosse?

Numero 9 di 16 brani, dal disco DOPAMINA,
in compagnia, di nuovo, di Giacomo Di Carlo, come in un precedente episodio del disco,
“Le città termali”


Chitarrine lo-fi, 808, cori come sospiri, fanno da padroni nel definire 
il sound di questa ballata post – Calcutta a due voci, in compagnia di Giacomo Di Carlo, già presente in una precedente release di Dopamina, “Le città termali”.
Il ritornello sembra la sigla una serie tv ambientata negli anni ‘70 e prodotta nel 2050.
E’ ipnotico il sussurro dei cori, se chiudo gli occhi vedo rosso e arancione, come all’albra di un giorno in cui pioverà.

C’è una tensione tenue che pervade tutto il brano, un bel po’ di ironia, 
Qualcosa dei blur nell’arrangiamento.

Si cerca di dare un addio dolce a qualcosa, si scherza sul fatto che non si sa come fare.
 


Basterebbe una parola feat. Giacomo Di Carlo

Poutpourri è una dichiarazione d’amore che parte dalle conseguenze di aver amato così tanto e così a lungo.
E no, non sempre si tratta di amare una persona—perlomeno non in questo caso.
Dentro ci sono abbandono, gratitudine, consapevolezza. Perché non sapevo certo che fare una scelta da bambino mi avrebbe sconvolto la vita (in positivo).
La disciplina, in questo amore, è stata una sorella che mi ha sempre aiutato, secondo dopo secondo.
Non è possibile, secondo me, un rapporto profondo con le “muse” se non tramite questo medium della disciplina.
Di cosa si parla lo puoi capire, magari non al primo tentativo, ma al terzo sì 😉

Quindi sì, è colpa tua. Ma grazie per questo.

Per le grafiche di copertina, un grazie all’artista perugina Noemi Belfiore.

Non Sbaglio Mai è la riproposizione di un vecchio brano di Filippo. Questa è la versione più vicina all’originale, nato come ballata chitarra e voce, prima di essere prodotto con una vibe deep house.
Il messaggio è semplice: “Non sbaglio mai solo perché so già che avrò torto, se mi scontro con te.”
Ecco tutto.
Stiamo zitti, facciamo altro.
Ascoltiamo queste chitarrine lo-fi e la voce sussurrata di Filippo.

Per la copertina, un grazie all’artista pisano Pablo Ruiz Caselli.


Poutpourri

Le Serate Hardcore racconta la gavetta, i day off durante i tour, le serate con gli altri artisti ai concorsi e i live in apertura dei big.
La gavetta è costellata di insicurezze, dubbi e, a volte, certezze che non ce la farai mai. È fatta anche di un sacco di c***te (tipo il prossimo feat. che XXXX farà con Michele Zarrillo o Lou Reed, appunto), che ci raccontiamo per tirarcela, per darci un tono, per giustificare quei 600 km con un gettone di presenza da 40 euro per suonare 20 minuti in apertura a una band famosa nel 2003.

Il sound design appartiene alla musica urban, con accenni di ritmi Jersey e 808.

Nel brano è presente il feat. di Cande, giovane rapper umbro dalla vibe new soul.


Le serate hardcore feat. Cande

La dopamina è il neuro trasmettitore responsabile del piacere immediato e della ricompensa, ma
regola anche i ritmi del sonno. Sembra che ne siamo diventati tutti dipendenti. Io onestamente ne
bramo la capacità di farmi dormire, perché nelle notti insonni si vedono cose che sarebbe meglio
liquidare come un brutto sogno.
Il disco e il suo sound design sono strutturati per portarti dentro i grandi alti e bassi dell’assenza e
presenza della dopamina, tra vuoti drammatici e sub bass che prendono il sopravvento rispetto ai
tipici Rickenbacker dell’indie. Le batterie sono spezzate come se passassero attraverso un setaccio;
respirano, più IDM alla Burial che ballate alla Calcutta.
I synth si confondono coi suoni dei pianeti, o quelli che percepiamo come tali; ho amato Thom
Yorke, e credo che mi abbia insegnato lui questo. Le voci sono tante, sono quelle nella mia testa che
non mi lasciano mai in pace; sono assillanti ma anche compagnia, simpatiche, sprezzanti, ironiche,
distruttive, ma sempre presenti.
Gli ambienti sonori e i riverberi sono quelli della dreamcore, degli spazi liminali, e i sample sono
come in un collage, testimonianza di qualcosa di distante o non mio; ma lo voglio così tanto che alla
fine me lo prendo, anche a costo di rubarlo e metterlo fuori luogo. Niente è al posto giusto dentro di
me e bisogna fare con quello che si ha, per quanto contraddittorio e disfunzionale.
Nel disco ci sono feat. di lusso: Giorgio Canali, Maestro Pellegrini degli Zen Circus, Young
Signorino. Ci sono anche artisti emergenti: alcuni li ho prodotti, altri sono colleghi nello studio o
parte di scene più alternative.
Sono molto felice di questo lavoro, era urgente e non lo sapevo neppure.

Filippo Poderini

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