"Altri Sguardi" è il progetto di mediazione di Palazzo Grassi rivolto a richiedenti asilo, rifugiati e migranti della Città Metropolitana di Venezia.

Dopo esser stati individuati tramite un'open call di Palazzo Grassi - Punta della Dogana, per l'edizione 2021 i partecipanti sono stati invitati a sviluppare capacità specifiche di mediazione e interpretazione, lavorando sul loro rapporto con la città di Venezia.

Il 4 dicembre 2021, i partecipanti incontrano il pubblico di HYPERVENEZIA e presentano la loro interpretazione personale di alcune opere esposte.

Amparito

"Prima, sono in Italia da sei mesi [in data della registrazione, il 10 giugno 2023] quindi il mio italiano non è molto bene. 
Robert Ryman è stato un artista americano noto per i suoi dipinti minimalisti. È nato nel 1930 a Nashville nel Tennessee, poi si è trasferito a New York negli anni 50 ed è morto nel 2019. La pratica artistica di Ryman si è concentrata principalmente sull’esplorazione delle possibilità della pittura bianca e sulla sua interazione con la superficie di una tela. Ha creato numerosi dipinti monocromatici utilizzando varie sfumature e trame di bianco. Il suo lavoro spesso prevedeva l'applicazione di vernice su diverse superfici, tra cui tela lino e metallo con pennellate deliberate e l'uso di strumenti. 
Ha esplorato l'interazione di luce ombre e testure così come il rapporto tra le superfici dipinte e lo spazio circostante. L'approccio minimalista di Ryman e la dedizione all'esplorazione delle possibilità della vernice bianca hanno avuto un impatto significativo sullo sviluppo dell'arte contemporanea. In particolare, nel regno della pittura astratta, il suo lavoro continua ad essere influente ed è celebrato per la sua meticolosa attenzione ai dettagli e l'esplorazione sfumata del colore, della luce e della superficie. È interessante di ricordare che i suoi dipinti che fanno parte della collezione Pinault sono stati esposti per la prima volta nel 2006 alla mostra Where are we going? a Palazzo Grassi.  
L'opera che ha catturato la mia attenzione è stata la serie di piccoli dipinti che ha realizzato tra il 2010 e il 2011, in cui vedono tele quadrate di forma approssimativa con vernice bianca che galleggiano instabilmente su tele quadrate di cotone; i fondi sono di colori diversi che sono verde muschio, marrone, nero o rosso terra. Secondo me, quest’opera di Ryman è iconica in quanto il bianco significa purezza, fonte di vita, pulizia, tranquillità, meditazione, riposo d'anima, pace mentale e così via. Quindi, se il bianco significa tutte queste cose, diremmo che il bianco sul verde spiega la tranquillità della natura, perché il colore verde è usato anche per rappresentare la fauna selvatica; prendiamo ancora il bianco sul nero: potrebbe significare il potere della luce sulle tenebre perché il colore nero è spesso usato per descrivere l'oscurità e infine il bianco sul rosso significa fonte di vita e riposo per l'anima. Perché fonte di vita e anche riposo per l’anima? Perché, in primo luogo, il colore rosso è talvolta usato per descrivere la terra e tutti noi viviamo dei prodotti che la terra ci fornisce e infine, riposo per l’anima, perché quando moriamo torniamo alla terra. Quando un musulmano muore viene lavato e coperto con un panno bianco per la sepoltura, il che significa che il bianco ripresenta purezza e santità. Questa simbologia del bianco si trova in diverse culture, sia nella vita di tutti i giorni che nell'arte, grazie." Messouho Coulibaly

Messuho: focus sull'opera di Robert Ryman

Io ho scelto quest’altra opera, perché quando l'ho vista non ho potuto fare a meno [di pensare] a qualcosa che mi riguarda culturalmente, riguarda tutti, però culturalmente in Messico è molto sentita la relazione tra la vita e la morte. Quindi, infatti, da anni qua a Venezia allestiamo un altare il Giorno dei Morti secondo la tradizione messicana. 

Soprattutto, quello che mi interessava condividere con voi oggi era l'assenza della sacralità della vita, un po’ quello che già nell'altra opera [Jessica Rankin, Field of Mars ndr] era venuto fuori. Anche ascoltando Renato, [ci rendiamo conto] come ancora in America Latina, in Messico, in altri paesi si rendono ancora delle offerte proprio per onorare la sacralità della vita e la dignità della vita. Qui è un po’ difficile, queste cose non le vediamo più, sono molto arcaiche e molto antiche; invece, magari nei nostri paesi ancora questo tipo di situazione si manifesta coi gruppi etnici che ci sono e che tentano di entrare in una relazione sacra attraverso la ritualità e di onorare la Pachamama e la vita stessa. Io ho portato – così per condividere con voi – queste immagini di alcuni gruppi in Messico, soprattutto sono del Sud, a parte questi che sono del nord, che fanno appunto le danze celesti. Ci sono gli altari, proprio come preparazione non è una situazione diciamo a caso. Si fanno col solstizio, per chiedere la pioggia, per onorare qualcuno e l'altare dei morti che noi allestiamo qua e proprio per onorare la memoria dei nostri avi e perché questa relazione non venga interrotta nel tempo.  

Quindi anche pensando alle relazioni di cui si parlava prima, cioè quante persone di quelli con cui abbiamo condiviso questa esperienza fanno l'esperienza dell'immigrazione e a cui –personalmente è successo – di perdere qualcuno a cui vuoi bene, di essere lontano. Ecco la ritualità e l'elaborazione appunto degli altari è un modo per comunque essere vicini, onorare la loro memoria anche da lontano. A proposito di questo, appunto, riguardando il teschio dell'animale, pensavamo a come non solo non abbiamo rispetto per la vita umana, ma anche alla vita degli animali e anche alla vita della terra. 

Così, sono stati spunti di riflessione, che mi sembravano importanti, proprio per, all'interno di noi stessi, possibilmente fare un buon richiamo appunto a questa sacralità della vita.

Concepción Garcia Sanchez presenta l'opera di Huma Bhabha, I Even Dream Of You Sometimes

Buongiorno, sono Mohamed Garoui, vengo dalla Tunisia. Oggi vi presento quest’opera qua, questo dipinto. Quando sono entrato in questa sala per la prima volta ho pensato che questi colori fossero dei colori gioiosi, però, dopo, quando mi sono concentrato bene, ho cominciato a vedere chiaramente l'enorme quantità di sofferenza nascosta in questo quadro. Un dipinto in cui il colore del fuoco è così dominante da sembrare un incendio dopo l'esplosione: questa pittura mi ha fatto ricordare cosa sta succedendo in troppi posti intorno al mondo. Si vedono queste forme [indica] che sembrano come i frammenti di una bomba che hanno causato queste linee qua [indica]. Invece questi [indica], ferite che sono state suturate. Anche, ho messo i miei occhi su queste linee che formano delle facce, tra loro ci sono alcuni che stanno urlando.  

Così l'artista mi ha portato a Gaza in Palestina, dove ci sono migliaia di persone innocenti che muoiono ogni giorno, fino a oggi, a causa della guerra senza motivo. La loro unica colpa è che non vogliono rinunciare alla loro patria: dei bambini, dei vecchi, delle donne, sono davvero innocenti. Queste tracce rosse qua [indica] che sembrano come il sangue sul vetro di una camera mi hanno riportato indietro ad alcuni giornalisti che sono diventati vittime delle guerre solo perché cercavano di comunicare i fatti al mondo. Alla fine, vorrei concludere come sarebbe stato questo quadro se il colore fosse stato più verde – come queste tracce qua [indica] – infatti, come sarebbe il mondo senza questa follia per il potere? Grazie.

Mohamed Garoui presenta l'opera di Julie Mehretu, Hineni

Quando io ho visto per la prima volta Atlas, la cosa che mi è venuta subito in mente è stata la tradizione della C’oa nella mia terra. Io, come vi ho già detto, vengo dalla Bolivia e nella tradizione della mia terra c'è una cosmovisione molto particolare. Noi abbiamo tre terre: il hananpacha, la terra di sopra, il kaypacha, la nostra terra e l’uckupacha che è la terra di sotto. Queste terre appunto hanno la parola pacha, “terra”, quindi sono tutte collegate attraverso la pachamama, della madre terra. Per poter fare richieste, per poter ringraziare la madre terra noi facciamo questa ofrenda. Questa è un’ofrenda che io mi sono fatto portare dalla mia terra e contiene elementi rituali propri delle Ande. Se volete potete avvicinarvi così potete vedere. Ci sono diverse tipologie di C’oas, di diverse dimensioni, di diversi materiali. Questa C’oa va accompagnata con i misterios. Questi misterios simboleggiano elementi di connessione tra i mondi, oppure elementi che vogliamo richiedere per la nostra benedizione, cose che aneliamo o cose per cui siamo grati. Sono cose che poi ci fanno riflettere e ci portano a chiederci precisamente cosa vogliamo. Presto si avvicina il mese della madre terra, della pachamama, agosto, e nei negozi si possono trovare… questa è una piccolina, questa non vale niente, questa non vale neanche 3 €, ragazzi. E potete vedere che ci sono elementi molto grandi anche. Si possono fare migliaia di dollari con queste robe qua, perché poi si fanno grandi feste che sono condivise tra tutti, dove tu metti l’incenso insieme ai dollari che stai chiedendo (perché sempre ce n’è bisogno), chiedi salute, amore e denaro, chiedi il benessere della tua casa, chiedi il benessere della tua famiglia, del tuo negozio. Insieme a tutta la tua famiglia puoi benedire il tuo negozio, puoi benedire la tua casa. Tradizionalmente questa si fa il primo venerdì di ogni mese e in particolare poi ci sono due grandi feste: una il Martedì Grasso e un'altra ad agosto. Le due grandi feste nelle quali prendiamo questa C’oa rituale, la mettiamo sulle braci e la facciamo bruciare lentamente per la madre terra, per la pachamama, fino a che questa ofrenda sia accettata dalla madre terra. Così possiamo sperare in un mese che ci permetta di avere benessere, di avere salute, che ci permetta di collegarci con il nostro mondo. Il foglio nel quale è stato avvolto questo è la fotocopia di un… come si chiama… una delega notarile; quindi, è un documento con validità legale, una fotocopia molto particolare che in questo caso è stato riciclato. È molto particolare, però è normalità nella mia nel mio paese. Grazie mille!

Renato De Marchi Moyano presenta l'opera di Julie Mehretu, Atlas

Non c’è problema se vi avvicinate un po’ di più ragazzi, perché questa è un’opera che va vista da vicino e da lontano. Innanzitutto, piacere, il mio nome è Renato De Marchi Moyano vengo dalla Bolivia dalla città di Cochabamba. Però in questo caso qua, quando ho visto quest’opera, Black City, la prima cosa che mi è venuta in mente non è stata la mia città ma la capitale del mio paese, La Paz. Una città spettacolare che si trova tra i 3200 e i 4000 metri d'altitudine nell'altopiano boliviano e in questo caso in particolare quello che mi ha chiamato molto l'attenzione erano queste geometrie architettoniche, che vediamo nell’opera – che possiamo vedere anche da vicino, perché ci sono molti dettagli di molte architetture – e che mi hanno ricordato le classiche architetture di ogni capitale del terzo mondo, quindi con cose coloniali, cose un po’ più nostre, un mischio di un po’ di tutto con molte cose anche razionaliste dei periodi dittatura. E in più, queste macchie, questo nero che vediamo qua, mi ha ricordato proprio le immagini dei conflitti sociali del 2019; le immagini dei fumogeni e dei gas lacrimogeni e dei copertoni delle macchine che vengono bruciati mi ha ricordato le diverse situazioni nelle quali ci sono stati scontri tra la polizia e i manifestanti, tra i militari e il  

partito del governo. Fu un conflitto molto difficile quello del ‘19 da me. Sono passati quasi 5 anni e ancora non si sa bene cosa è successo, senza certezza. Tutto questo è stato parte di questa guerra fredda nuova che c'è, di questa guerra asimmetrica che si sta giocando tra Stati Uniti e Cina, poi anche in Russia in questo caso, con la partecipazione di tutte le potenze attorno a noi. E l’informazione ci ha fatto pensare che tutti erano i nostri nemici, i nostri fratelli, i nostri cugini, i nostri vicini: tutti potevano essere un oppositore, potevano essere favorevoli al governo. Tutti andavano sospettati. È stata una parte del conflitto che è stata molto difficile e che ci ha lasciato un segno sociale molto pesante. Quando ho visto quest'opera ho potuto solo vedere lacrimogeni, gas, vedere copertoni delle macchine che erano bruciati. È quello che ho visto quando ho visto questo per prima volta.

Renato De Marchi Moyano presenta l'opera di Julie Mehretu, Black City

Io vengo da una famiglia della chefferie, mio papà è un re, quindi io sono una principessa. Quando sono arrivata qua, questo mi ha colpito tanto perché mi ha riportato a casa. Sono i simboli della chefferie. Devo leggere per guadagnare tempo e farvi capire molto bene. 

Le cosiddette chefferie Bamiléké e stregoneria, inclusi i rituali, l'ordine di successione al capo, i dipinti, le danze, le maschere, le tradizioni e i simboli; le chefferie Bamiléké del Camerun occidentale risalgono al periodo coloniale e il capo ha tante mogli e figli. 

Sono governati da capi e sono caratterizzati da un'organizzazione gerarchica basata su un sistema di notabili e sull'arte della corte, che esalta il potere del sovrano. Il capo, detto Fö, amministra il suo territorio attraverso società segrete composte da nove notabili che hanno il compito di raccogliere le opinioni del popolo e trasmettergliele. Ha anche i suoi regolamenti interni e le sue leggi. 

Nel Paese di Bamiléké, il Fö è a capo della gerarchia tradizionale. È un sacerdote tradizionale e si occupa della sicurezza del suo popolo. La nomina del suo successore è assoluta e sacra.  

Il capo si circonda di nove notabili, membri di società segrete, che custodiscono i segreti della successione al trono. Dopo la morte del capo, spetta a loro scegliere l'erede del capo defunto tra i suoi figli, tenendo conto dei desideri del defunto. I notabili iniziati lo catturano e lo consegnano agli altri, che lo picchiano e lo spogliano. 

La lotta si fece ancora più feroce perché il prescelto non aveva diritto alla poltrona del padre. I rapitori sono scomparsi con la loro vittima verso il la'kam (luogo di ritiro per nove settimane, investitura e iniziazione ai misteri del regno). Dopo l'arresto del capo, il suo vice è stato immediatamente arrestato. Sono ben sorvegliati dalla polizia segreta del regno, che garantisce la loro sicurezza. Essi tengono d'occhio tutti i pasti portati al capo e al suo vice per paura di essere avvelenati o attaccati e uccisi di notte. 

Anche se l'autorità del capo sul suo popolo è illimitata, egli vive sotto l'influenza ossessiva dei suoi notabili, che insieme hanno il diritto di vita o di morte sul capo. Possono metterlo sul trono e eliminarlo. Se, per forze interne o esterne, un usurpatore prende il potere del capo, il culto viene interrotto e il Paese è colpito da una serie di disgrazie. 

Egli è aiutato nel suo compito da ministri e dignitari. Anche le società segrete (composte da uomini con poteri maligni) svolgono un ruolo politico ed economico; praticano e organizzano culti rituali e sono i guardiani dell'ordine sociale. 

Le loro statue rappresentano spesso la fertilità, il potere e lo spirito combattivo. All'ingresso di questi chefferie si trovano due grandi statue di leoni che simboleggiano il totem degli antenati che hanno preceduto i nuovi e servono come protezione contro il male nelle chefferie. Secondo le testimonianze di persone malvagie che hanno cercato di entrare in queste chefferie con mezzi mistici allo scopo di fare del male, hanno incontrato dei leoni che li hanno combattuti. Questi luoghi sono spaventosi a partire da una certa ora (dall’1 alle 3 del mattino). Ma chi non ha il potere di fare del male, in altre parole chi non è uno stregone, può attraversare queste zone in tali orari, ma con troppa paura. Perché queste zone sono terrificanti in questi momenti. 
All'inizio di ogni stagione di coltivazione, la famiglia e anche le persone straniere che lavorano in quelle zone portano una manciata di semi al capo che li raccoglie, e in un giorno sacro tutti si recano al guinarou, “un cosiddetto albero sacro”, e compiono sacrifici per chiedere una benedizione affinché i raccolti siano abbondanti.

Berthe Bunda Tabit presenta l'opera di Huma Bhabha, New Human

Buongiorno a tutti, mi chiamo Bunda Tabit Berthe, sono camerunense, sono rifugiata politica. Quindi non ce la faccio se devo parlare guardando solo la bandiera senza leggere. Quindi ho scritto per fare velocemente. Quindi sono rifugiata politica, sono qua da due anni e mezzo e quindi quando ho guardato questa bandiera l’idea che mi ha colpito è che ho pensato al mio paese. La bandiera di un Paese è portatrice di un grande libro di storia. 

La prima cosa che mi ha colpito di questa bandiera è stato il modo in cui si è deteriorata. La mia mente è andata quindi alla storia di un Paese che, un tempo aveva la sua indipendenza e che ora si sta distruggendo. 

Questo mi porta alla storia del mio Paese, il Camerun. Il Camerun è un paese del centro Africa, che all'indomani della Seconda guerra mondiale ha ottenuto lo status di territorio associato all'Unione francese, negli anni '40 e '50. 

L’unione delle popolazioni del Camerun (UPC) di Ruben Um Nyobé ha svolto un ruolo centrale nella marcia verso l'indipendenza. Le sanguinose violenze scoppiarono e continuarono anche dopo che le Nazioni Unite annunciarono la revoca dell'amministrazione fiduciaria il 14 marzo 1959 e la proclamazione dell'indipendenza il 1° gennaio 1960.   

Il 30 giugno 1975 è stato nominato Primo Ministro dal Presidente Ahmadou Ahidjo. Nel 1979, la legge n. 79/02 del 29 giugno 1979 ha fatto del Primo Ministro Paul Biya il successore costituzionale del Presidente Ahmadou Ahidjo. 

Il Camerun era diviso in due con un'unica bandiera ispirata al movimento panafricanista del dodicesimo secolo: "verde, rosso, giallo con due stelle sulla striscia verde". 

La riunificazione del Camerun avvenne il 1° ottobre 1961 quando il Camerun meridionale, parte dell'ex Camerun britannico, si unì alla Repubblica del Camerun, ex Camerun francese dopo un referendum per formare la Repubblica Federale del Camerun, che il 20 maggio 1972 fu ribattezzata Repubblica Unita del Camerun.  Al termine del periodo federale, in seguito al passaggio a uno Stato unitario il 21 maggio 1975, la bandiera è stata cambiata in una stella singola ed è diventata Repubblica del Camerun. 

Il verde rappresenta la foresta equatoriale meridionale del Camerun, il progresso e la speranza di un Camerun ricco e prospero. Il giallo oro rappresenta il sole, la ricchezza, la durata, il suolo e la savana della regione settentrionale. La striscia rossa simboleggia l'autorità e il legame tra le regioni meridionali e settentrionali del Paese e il sangue delle vittime della guerra. La stella d'oro rappresenta l'unificazione in un unico Stato indivisibile. 

Il 6 novembre 1982, Paul Biya prese il potere a causa di una piccola spaccatura, la cui causa è sempre stata nascosta. I media parlano della consegna del potere a Paul Biya da parte del presidente Hamadou Ahidjo. 

Questa bandiera, che portava con sé la speranza di progresso e di un Camerun ricco e prospero, tende ora alla distruzione: dal 1982 a oggi, Paul Biya ha trasformato questo potere in un regno e sta preparando il figlio a succedergli nelle prossime elezioni del 2025. Ciò sta causando grandi sconvolgimenti nel Paese.

Berthe Bunda Tabit presenta l'opera di David Hammons, Oh Say Can You See

Salve, scusate. Ho scelto questo dipinto. E prima vorrei presentarmi un po’, un pochino. Mi chiamo Valerii, ma preferisco usare una forma italiana del mio nome, cioè Valerio. Abito in Italia circa da due anni, a essere più preciso due anni e tre mesi e sono rifugiato politico. 

E adesso possiamo parlare su questa opera: quando sono stato nella prima volta nella mostra quasi tutti gli oggetti d'arte mi sembravano come se fossero un po’ inquietanti, un po’, un pochino, ma volevo essere sincero di fronte a voi. Adesso ho cambiato idea, perché avevo tanto tempo per capire tutte le opere che possiamo vedere oggi. Ma se torniamo alla nostra prima visita, questo dipinto mi ha colpito nel cuore profondamente, perché quando ho visto questa tela nella prima volta [sono stato] colpito. Perché, guardate questi colori, questi colori così puri, così festeggiosi, così gioiosi che potranno dare la speranza. La speranza è una parola forte per noi. Perché ho detto così? Perché quasi tutti i partecipanti di Altri Sguardi sono rifugiati politici (anch'io) e quindi quando sento queste parole voglio crescere come una persona, voglio vivere avanti e anche, posso aggiungere, che questo dipinto mi sembra come se fosse un ritratto di Venezia. Perché quando vedo questo dipinto mi ricordo i nomi dei grandi pittori veneziani, per esempio Veronese – per questi colori così festeggiosi come vi ho già detto prima – anche di Tiepolo, oppure se possiamo dire nel modo più internazionale Joseph Turner (è un pittore inglese). Ah! Scusate troppe informazioni dell'arte, perché in Russia lavoravo al museo da tanti anni. Se torniamo voglio aggiungere anche per la speranza e per fare questa cosa mi dà una mano un grande poeta russo, che possiamo dire nel modo dell'arte che “dorme nell'isola di San Michele”. Si chiama Joseph Brodsky.  Volevo aggiungere al mio discorso un piccolo frammento de “La Fondamenta degli Incurabili”: 

“Non importa la qualità e la quantità delle pillole che ti tocca inghiottire questa mattina: senti che per te non è ancora finita. Alla stessa stregua, non importa se sei più o meno autonomo, se e quante volte sei stato tradito, se il tuo esame di coscienza è più o meno radicale, più o meno sconsolante: comunque stiano le cose, presumi che per te ci sia ancora speranza, o almeno un futuro”. 

Posso dire anche per me stesso le stesse parole. Quando vedo questo dipinto sento che anche per me c'è la speranza e almeno il futuro in Italia e anche a Venezia. Perché vi ho già detto che vedo anche la Venezia, ma per me questa città non è solo una città che festeggia sempre per i turisti, per esempio. No, la città è anche per la tristezza come di Brodsky: l'inverno, Venezia eccetera eccetera. Per me questa città è sempre una città della speranza e abito in Italia da due anni e adesso posso comprendere un vero senso della stessa parola, “la speranza”. Ho detto tutto, grazie.

Valerio Shakin presenta l'opera Jessica Rankin, Forever on the Verge of Becoming

Ciao a tutti! Perché io ho scelto quest'opera? Perché c'era una storia nella mia vita. Ho anche scelto questa [indica immagine]. È un uccello, si chiama in bengalese saath ronga pakhi, un uccello che ha 7 colori. Quando avevo 12 anni, di solito le scuole erano chiuse in Bangladesh il venerdì. Quindi tutte le mattine andavo a trovare gli uccelli perché mi piacevano gli uccelli e anche altri animali. La mia mia madre mi ha detto che non si fa così, poi una mattina andavo a cercare gli uccelli nella foresta; c'era una piccola foresta da casa mia e una volta ho trovato questo uccello [indica] e l'ho portato con me a casa mia e poi l’ho messo in una gabbia e poi tutte le mattine prima di andare a scuola giocavamo insieme. Ma lui non parlava con me, perché io non capisco lui. Poi quando tornavo da scuola gli ho dato da mangiare qualcosa: il riso anche la frutta, ma pensavo che lui fosse arrabbiato con me. Lui non mangia niente e poi mia madre è arrivata e mi ha detto “Sujon, agli uccelli non piace stare nella gabbia”. Quindi sono arrabbiato per mio madre, perché mi ha detto così e perché io voglio quell'uccello che sta con me. Ma una mattina ho deciso che lo dovevo lasciare e poi l'ho lasciato. Era un po’ triste e poi mia madre mi ha detto “tu sei triste, ma l’uccello è più più più felice”. Perché quando ho visto quell'opera, che ci sono tanti colori così uguali – quasi uguali! Poi mi ricorda la mia infanzia anche i giorni in cui era più bella la mia vita. Ora vivo in Italia e i miei genitori vivono in Bangladesh e al momento mi mancano i miei genitori. Quindi ho scelto quest'opera mentre ho sentito dov'è la mia mamma, che mi ha parlato che devi lasciare a questo uccello. Grazie.

Sujon Bepary presenta l'opera di Julie Mehretu, Your hands are like two shovels digging in me

Ciao ciao a tutti. Sono molto felice che posso parlare con voi. Ho scelto quest'opera, avete visto che è una faccia del bambino, ma ho visto un'altra cosa. Secondo me, quest’opera mi sembra un uomo che è nato in Bangladesh che si chiama Sheikh Mujibur Rahman. Lui è il padre della nazione del Bangladesh: sapete o no che il Bangladesh una volta era una parte del Pakistan? Nel 1971 abbiamo fatto una guerra con il Pakistan e poi ci siamo divisi con il Pakistan. Il Pakistan è un paese più grande del Bangladesh, ma gli abitanti sono più in Bangladesh. In tutto il Pakistan il 60% degli abitanti parla bengalese e 40% degli abitanti parlavano urdu, ma il governo era pakistano. Una volta lui [il governo] è arrivato in Bangladesh e ha detto che tutto il Pakistan dovrebbe avere una lingua, era urdu. Ma i bengalesi, noi diciamo: “perché? ci sono 60% degli abitanti che parlano bengalese, perché la lingua era urdu?”. Quindi, quando è arrivato Sheikh Mujibur Rahman e lui ha detto “anche no, questa terra è mia madre. Qui viviamo noi, non posso stare con i pakistani”. E quindi il governo pakistano è molto arrabbiato e nel 1971, il 25 marzo, l'esercito pakistano è arrivato in Bangladesh a Dacca e una notte sono morti 100.000 bengalesi. Loro hanno cominciato la guerra e poi Sheikh Mujibur Rahman ha detto che se loro vogliono guerra, allora noi siamo pronti. Poi la guerra è durata 9 mesi e fortunatamente abbiamo vinto la guerra e poi ancora noi bengalesi viviamo in Bangladesh più peacefully. Ok, quando ho visto quella faccia ho visto il padre della Nazione bengalese, grazie.

Sujon Bepary presenta l'opera di Paul Pfeiffer, Incarnator (Pampanga), Kurt

Merci une fois de plus d’être là encore ! 

Merci d’être dans notre groupe pour regarder ce qu’on faisait ici du début jusqu’au présent. 

Donc voici c’est ce que j’ai choisi, qui m’a fait penser à quand j’étais enfant, quand j’étais petit, quand on dessinait la carte de notre pays, le Burkina Faso qui vient de me manquer aujourd’hui. Donc cette carte [indica l’opera] qui est représentée me fait penser quand on s’amusait avec ce truc là [una mappa disegnata del Burkina Faso su una griglia che indicano in verticale le coordinate A,B,C, ecc. e in orizzontale 1,2,3 ecc.], quand on jouait avec [...] donc cette œuvre me fait penser à ça. Donc quand je voyais ça, ça me rappelait quand on jouait avec la carte de notre pays. 

[Mi ricordo quando giocavamo da piccoli e disegnavamo la mappa del nostro paese che ho riprodotto qua.]  

La question de la carte, de ce qu’on faisait, qu’on appelle “dix bourreaux [coordinate 10B] / treize griffons [13G] / treize agari [13A] / seize monts [16M]” – donc voilà cette œuvre me fait penser à cela. Grazie !

Palazzo Grassi - Punta della Dogana

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